Testimonianze

Stefano Malatesta:

Vincenzo Nucci l' Oriente in Sicilia

Il sole, la luce del Sud hanno molto spesso affascinato, ma ancora di più spaventato i pittori forestieri, almeno fino a quando la pittura è stata un' arte fondata su una tecnica che s' imparava faticosamente con gli anni a bottega o privatamente (da come l' apprendista riusciva a impastare colore e luce si facevano scommesse sulla sua carriera). Non sto parlando della luce cristallina dell' Attica in primavera o dell' atmosfera simile a un pulviscolo rosato di Roma in autunno. Sto parlando del bianco accecante che incontriamo nelle torridi estati di alcune aree del Mediterraneo, così forte da annullare ogni rilievo, da schiacciare la prospettiva in un unico piano. E quello che rimane in ombra scompare come se fosse ingoiato da un buco nero e non solo non vediamo i dettagli, ma proprio non vediamo nulla. La Sicilia è sempre stata vista come un esempio classico del sud mediterraneo più estremo, quasi africano e insieme come la più orientale delle regioni italiane, non solo in senso geografico: un grande jardin d' acclimatation dove crescono piante mai viste altrove, che danno al paesaggio cittadino un' aria esotica, dove il mare sembra più blu, il cielo più violetto, la terra nello stesso tempo più aspra e più lussureggiante, con i colori e i sapori diversi e più forti, di cui i siciliani menano gran vanto. Contrariamente alla vulgata popolare, il trasferimento dalla natura all' arte di questi eccessi, del modo siciliano di essere un po' sempre sopra le righe in tutto, dal paesaggio al carattere degli umani, è stato sempre un affare assai complicato. Perché si comincia con il tramonto, la marina da terra delle sirene, l' isola magica e si finisce con l' impepata di cozze, e con la sagra del mandorlo in fiore, perché è difficile resistere al folklore fatto passare per sicilianissima arte. La notissima Vucciria di Renato Guttuso, che qualche critico si ostina a credere un capolavoro, non è forse il manifesto più eloquente di una pittura che non mette un freno al troppo, in tutti i sensi? Uno dei pochissimi che è riuscito a rappresentare la particolare bellezza della Sicilia - una certa Sicilia - è Vincenzo Nucci, che in questi giorni espone le sue opere nello stupendo loggiato di San Bartolomeo, a Palermo. Da oltre trent' anni Vincenzo dà l' impressione di non muoversi dal suo minuscolo studio di Sciacca, sopra il porto. Mentre in realtà bisognerebbe andarlo a cercare lungo l' ingannevole e periglioso confine che separa la pittura di genere dall' interpretazione di qualità, sempre prendendo notevoli rischi e sempre riuscendo, con grandissima disinvoltura, a evitare le trappole che il paesaggio siciliano come tema quasi esclusivo comporta. Detto in breve, Nucci ha calibrato la sua pittura figurativa che tende sempre verso l' astratto, con la consapevolezza che non lo raggiungerà mai, evitando di adoperare i colori come si fa con i fuochi artificiali. Ma senza porsi di traverso o di fronte perché sa benissimo che al rischio della volgarità del troppo si oppone il rischio, altrettanto pericoloso, della debolezza del poco e Vincenzo, con tutta la sua ammirevole disponibilità, non è un ingenuo disposto a perdere la vita per delicatesse. Fino a una quindicina di anni fa il paesaggio dell' isola si poteva dividere, molto grosso modo, in due tipi, i quali a loro volta si dividevano in numerosi altri sottotipi: la campagna riarsa, gialla e pietrosa, calcinata dal sole e narrata in cento film dove il protagonista era lo scacciapensieri. E il giardino padronale e aristocratico, visto come un' oasi, quando l' estetica della wilderness non era ancora nata, il deserto faceva ancora paura e il principio che aveva guidato i creatori di tanta magnificenza era quello di godersela nel lusso anche vegetale. Questi giardini, che ricordano quelli dei carmenes di Granada, circondati da mura e intensamente profumati di gelsomino, costituiscono uno dei temi preferiti di Vincenzo: con tutte le meravigliose palme che ha dipinto in vita sua, avrebbe diritto ad essere considerato il più grande orientalista italiano, se mai fosse esistita una scuola orientalistica in Italia. Nel frattempo la Sicilia, rimasta sempre la stessa negli ultimi due o tre secoli, almeno come aspetto e morfologia, ha avuto una incredibile trasformazione con gli aiuti europei all' agricoltura ed è diventata una delle regioni più verdi d' Italia. L' aspetto curioso di tutta questa vicenda è che i siciliani, per ragioni che qui sarebbe troppo lungo ricostruire si rifiutano di prendere atto dell' enorme cambiamento. E vanno da Nucci a chiedergli un quadro che gli ricordi la vera isola, quella che sta scomparendo sotto i loro occhi.

Repubblica — 19 gennaio 2004

altri che hanno scritto di lui:

Maria Attanasio, Lucio Barbera, Giovanni Bonanno, Francesca Bonazzoli, Liana Bortolon, Antonio Calabrò, Silvia Carrer,Elvira Cassi Salvi, Martina Corgnati,Philippe Daverio, Silvia Dell’Orso, Fabrizio Dentice, Valentina Di Miceli, Eva Di Stefano, Angelo Dragone, Francesco Gallo, Aldo Gerbino, Carlo Giacomozzi, Guido Giuffrè, Marco Goldin, Franco Grasso, Sebastiano Grasso, Piero Guccione, Paolo Levi, Stefano Malatesta, Dario Micacchi, Angelo Mistrangelo, Elisabetta Muritti, Paolo Nifosì, Laura Oddo, Maria Teresa Prestigiacomo, Giuseppe Quatriglio, Aleardo Rubini, Ruggero Savinio, Anna Maria Schmidt, Giuseppe Servello, Vittorio Sgarbi, Enzo Siciliano, Roberto Tabozzi, Roberto Tassi, Sergio Troisi, Emilia Valenza, Marco Vallora, Marco Valsecchi, Tono Zancanaro.